Era andata così. L’11 gennaio, una colata di aria gelida (con un nucleo di -28°C a 850 hPa), pilotata da un anomalo anticiclone russo-scandinavo, si era abbattuta sull’Europa centrale, investendo direttamente la Germania e la Danimarca, in direzione di una profonda depressione sul Tirreno centrale. Il risultato fu, dal 12, neve anche in pianura su tutto l’Adriatico.
A quei tempi abitavo a Jesi e ricordo bene che fra il 12 e il 13 caddero circa 25 cm di neve. Le precipitazioni interessarono anche tutta la Romagna e parte dell’Emilia, con discreti accumuli. La mattina del 13 – leggo dai miei dati – la temperatura minima non era particolarmente bassa (-2°C) perché aveva nevicato per tutta la notte e il cielo rimaneva coperto. Condizioni immutate per tutto il giorno, con massima intorno a -1°C e neve, abbondante ma non copiosissima. Tutto bianco: strade bianche, catene montate (a quei tempi non esistevano ancora le gomme termiche) e, se non mi ricordo male, scuole chiuse.
Io, però, ero già tutto proiettato verso il viaggio dell’indomani.
Poi successe l’incredibile. Lo ricordo come ora, anche se sembra davvero difficile che a distanza di 22 anni uno abbia ricordi così lucidi, distinti, chiari, come se tutto fosse successo qualche giorno fa.
Erano le cinque del pomeriggio, che era già notte, quando dovetti affacciarmi dalla finestra per chiudere le imposte. Udii chiaramente che alla silenziosa nevicata era subentrato un leggero, ma inconfondibile, crepitare di pioggia. “Ma come? Piove?” mi dissi e ci rimasi un po’ male. Sapevo che l’ondata di gelo era agli sgoccioli, ma non credevo che la neve cedesse il posto alla pioggia. Non credevo, almeno, così presto. Eppure – esaminando attentamente il display luminoso del mio termometro (preso da un vecchio frigo di supermercato e posto all’interno di casa dopo aver forato il muro esterno e averci fatta passare una sonda), la temperatura era di -2°C. Pensai che ci fosse qualche problema o che il termometro non fosse preciso. Passai diversi minuti affacciato da diverse finestre: da una vidi bene il vasto giardino della villa accanto al mio condominio – proprietà di un noto costruttore jesino di carrelli elevatori – sotto uno scroscio di pioggia, ma ancora perfettamente innevato, anzi: alla luce dei lampioni, quasi lucido. Eppure pioveva. E come pioveva!
Alle sei dovetti uscire con mio padre per alcune compere. La 127 bianca, con catene, andava benissimo sulla neve. Stavolta no. C’era qualcosa di strano. Prima di tutto i tergicristalli erano completamente incollati al vetro e, dopo l’arduo lavoro di scongelamento, si saldarono ancora al vetro dopo pochi secondi. E, poi, l’auto non teneva per niente la strada. Anche se i binari scavati nel manto nevoso della strada, in teoria, avrebbero dovuto far mantenere la direzione all’auto, in realtà slittavamo ovunque e specie le partenze erano una cosa inenarrabile. Scendere dall’auto ed arrivare al negozio dove avremmo dovuto comprare il pane ed altre poche cose fu difficile: la neve si era come ricoperta di uno strato di ghiaccio lucido, bellissimo da vedere ma assolutamente scivolosissimo. Ho l’immagine davanti agli occhi di questa via (via delle Nazioni, periferia occidentale della città) sotto la pioggia, con la neve lucida, compatta e i rami degli alberi scintillanti, come ricoperti di vetro. Non tirava un alito di vento.
A quei tempi non avevo idea di che fenomeno si trattasse e non avrei mai concepito che potesse piovere sulla neve e che la pioggia, immediatamente, potesse congelare formando uno strato di ghiaccio perfettamente trasparente come cristallo, specialmente attorno ai rami degli alberi. Il fenomeno, tra l’altro, non era mai capitato prima di allora (avevo quasi 18 anni) né più l’avrei rivisto.
Me la godei immensamente quella sera. Armato di ombrello scesi giù in cortile e per un’ora, con l’ombrello che si caricava di ghiaccio e si appesantiva sempre più, mi guardai questo fenomeno così irreale, quasi magico. Di notte, del resto, il gelicidio è immensamente poetico. La neve, che è già capace di trasformare la notte in crepuscolo, se ricoperta di uno strato di ghiaccio lucido e perfettamente levigato, riflette la luce in maniera ancora più efficace. Fu favoloso guardare quel paesaggio bianco, incrostato di cristallo, mentre la pioggia crepitava sopra quell’ombrello malfermo - non ero molto robusto a quell'epoca...
Notte quasi insonne. Partenza prestissimo. Buio pesto da casa mia fino alla stazione: strada lucida di ghiaccio, come spalmata d’olio. Una cosa inaudita: rami d’alberi chini sotto il peso della neve e del ghiaccio, spessi tre o quattro dita; neve bianca e levigatissima, dura come il cemento; spadoni di ghiaccio ovunque: dai tetti, dai terrazzi, dagli alberi, dai portoni.
Alla stazione, con gran fatica, arrivarono tutti. Il treno fu in grande ritardo per i binari praticamente incollati. Tutti a bordo. Destinazione: Forlì.
Ci arrivammo in mattinata. Pioveva, ma il paesaggio era lo stesso della partenza, se non ancora più incantato. Nella città romagnola, infatti, il ghiaccio vetrone aveva uno spessore di almeno tre o quattro centimetri. Non uno riuscì a tirare una sola pallata di neve senza farla assomigliare ad una sassata. L’immagine più bella, che ho scolpita nella memoria, è quella di un albero di caki, completamente ricoperto di ghiaccio vetrone, nei pressi dell’albergo dove poi alloggiai. Lo spettacolo durò almeno altre sei o sette ore.
Nel pomeriggio, però, qualcosa cambiò ed ho ancora davanti agli occhi l’immagine dello stesso albero che cominciava a perdere lo strato di cristallo che lo ricopriva: la temperatura era salita sopra lo zero e la pioggia era tornata ad essere normale stillicidio di acqua.
allego parte delle previsioni del tempo del 13 gennaio in cui non è previsto gelicidio se non nell'Europa orientale. E voi, che facevate quel giorno? che tempo fece da queste parti, oltre il crinale appenninico?

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