Veniamo ai fatti. Sin dal lontano 2000, sull’ex quindicinale d’informazione di Gualdo Tadino L’Eco del Serrasanta, insieme a Massimiliano Squadroni (che ringrazio per avermi “stuzzicato” con l’idea), cominciai a tenere una rubrica di meteorologia divulgativa: un articolo, ogni quindici giorni, commentava qualche evento meteorologico – dai dati della stazione locale che avevo impiantato a Palazzo Mancinelli ad eventi a carattere nazionale, mondiale, fino a questione più squisitamente didattiche, che cercavamo di spiegare in un linguaggio semplice ma in maniera più scientifica possibile. La rubrica, che Massimiliano voleva chiamare Burian – in memoria del noto evento del 1996 – alla fine preferimmo intitolarla Con la testa fra le nuvole. Era una sfida. Molti non pensavano potesse durare più di due o tre numeri. Invece destò subito una certa curiosità e molti la apprezzarono, esprimendomi più volte – più per cortesia, nel mio caso, che per l’effettiva validità degli articoli – il loro apprezzamento. Visto che era anche su internet, la rubrica incuriosì anche molto lontano; per questo, mi chiamarono tre volte dalla Rai per parlare di questioni meteorologiche: una volta, nel 2002, su Unomattina, dove ebbi l’onore di avere un cornetto offerto dal simpaticissimo Massimo Morico; un’altra, nel 2004, da Alle falde del Kilimangiaro, dove dovetti fare esperimenti in diretta accanto alla Colò. La terza volta non ci andai. La tv non è fatta per me, che sono un tipo introverso e che preferisce scrivere più che parlare. Fu così che la rubrica giunse fino al 104° articolo, fino, in pratica, alla chiusura del giornale (l’elenco completo degli articoli si trova al seguente link: http://www.protadino.it/ecodelserrasanta/sommeteo.html) e prosegue, oggi, con altro nome (Meteo & Co.) sul mensile Il Serrasanta, rinato dalle ceneri dell’Eco.
In tutti questi anni, però, la storia più bella, più commovente mi capitò proprio nel 2004. A metà febbraio. Ricevetti una lettera in cui, l’architetto gualdese Domenico Tittarelli (detto “Nino”) mi scriveva testualmente: "Lei non mi conosce, ma io La conosco attraverso quanto pubblica sull’Eco del Serrasanta; La seguo da quando ha iniziato a pubblicare" e poco più avanti ammetteva che "tutte le mattine, la prima cosa che faccio è dare uno sguardo ai termometri, al barometro ed all’igrometro mentre aspetto il caffè, per registrare poi i dati.". La lettera si concludeva con l’invito a casa sua, perché si facesse conoscenza. Gli telefonai il giorno dopo, per ringraziarlo delle sue belle parole. Sapevo che era malato. Lui mi confessò che sarebbe vissuto ancora poco: il cancro lo stava divorando, ma non era triste, non era angosciato: lasciava la vita senza rimpianti, perché l’aveva vissuta intensamente. E’ raro – a me non è mai capitato – sentire una telefonata di tale intensità umana, una persona che sta per lasciare questo mondo così serena.
Durante la conversazione, Nino mi disse di essere in possesso di uno strumento probabilmente meteorologico: lo aveva trovato gettato nella spazzatura, lo aveva ripulito, ma non sapeva che cosa fosse né come funzionasse. Dalla descrizione, ipotizzai che fosse un pluviografo meccanico. Ebbene: gli sarebbe piaciuto regalarmelo, perché, di sicuro, avrei potuto usarlo per la stazione meteo che avevo. Lo ringraziai di cuore e ci accordammo di risentirci dopo qualche giorno per incontrarci.
Questo è il mio più grande rimpianto. Quell’incontro non ci fu mai. Non ricordo esattamente come andarono le cose: sta di fatto che ci risentimmo un paio di volte, a primavera, ma non riuscimmo mai a trovare un giorno in cui fossimo entrambi liberi.
Poi, nell’estate successiva, Nino – improvvisamente, ma non senza che fosse prevedibile – morì. Non aveva sessant’anni. Lo seppi, tra l’altro, con parecchi giorni di ritardo.
Ci rimasi di sasso: quel discorso era rimasto incompiuto.
Un mese dopo, circa, ricevetti una telefonata: era il padre di Nino, che io non conoscevo. Mi comunicò che suo figlio, poco prima di morire, aveva espresso il desiderio che quel pluviografo fosse consegnato a me. Fu una cosa bellissima, nella disgrazia, sapere che qualcuno aveva pensato a me, pur nel dolore della malattia, negli ultimi istanti della sua vita. Fu così che andai un giorno a trovare i coniugi Tittarelli, espressi loro la mia gratitudine per il gesto di loro figlio e presi in consegna quel pluviografo. La prima cosa che avessi ricevuto “in eredità” in vita mia. L’ho contemplato per giorni e giorni, senza avere quasi il coraggio di toccarlo. Promisi a me stesso e a Nino che, benché evidentemente privo di alcuni componenti e un po’ malconcio, un giorno l’avrei fatto funzionare ed avrei utilizzato i suoi dati.
Certo, di tempo ne è passato. Da quel giorno la mia famiglia è cresciuta di due unità e gli impegni con essa. Per reperire il nome e il tipo del modello, ho impiegato veramente un’infinità ma, anche se in modo rocambolesco, sono stato finalmente in grado di sapere di essere in possesso di un pluviografo Salmoiraghi modello 1625, costruito a metà anni Ottanta e revisionato, per l’ultima volta, nel 1989: ho reperito i componenti mancanti, fra cui l’imbuto, i pennini, i rulli di carta; ho ripulito le parti ossidate, sostituito qualche vite e verificato la funzionalità degli ingranaggi. Poi ho scoperto il motivo della sua “dismissione”: la necessità di provvedere alla sostituzione del grafico ogni settimana (ben 52 grafici all’anno: scomodissimo!) ed un ulteriore difetto nel meccanismo dell’orologio, cosa che vanificava l’uso del pennino. Per cui, su suggerimento del nostro Icchese,

Poi, dopo una lunga fase di “rodaggio” in cui ho potuto apprezzare la veridicità delle sue misurazioni e confrontarle sistematicamente con quelle di altri tre pluviometri (due elettronici ed uno manuale), ora il Pluvio Salmoiraghi è stato installato in un’apposita “capannina” ed è entrato ufficialmente in servizio, accanto alla stazione ufficiale Davis, di cui contribuirà ad aumentare la precisione delle rilevazioni, grazie al suo imbuto da ben 36 cm, che è molto meno sottostimante in caso di pioggia a vento e pioggia torrenziale. Più degli altri strumenti, in fondo, ha una sua anima e una sua storia.
Ho impiegato molto tempo a mantenere la promessa che avevo fatto, in cuore, a Nino, che ringrazio ancora per avermi fatto vivere una storia così bella.

Ma oggi quel suo sogno – che poi è diventato il mio – è realtà. Un sogno che vivrà in ognuna delle gocce di pioggia che, d’ora in poi, entrerà in quell’imbuto...
