
La città conobbe il suo massimo splendore fra il VII ed il IV secolo a.C., quando costituì una vera metropoli mediterranea, in grado di giocare un ruolo di primo piano sulla scena politica internazionale. Vuole la leggenda che il suo leggendario fondatore, Tarconte, abbia appreso i rudimenti dell’alfabeto e della scienza divinatoria dal genio Tagete, e che quindi la città li abbia trasmessi a tutta la nazione.
In rapporto con Roma fin da epoca molto antica, diede a questa città la dinastia dei re Etruschi (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo) che svolse un ruolo di primaria importanza nella storia della città latina (fine del VII e VI secolo a.C.). L’aristocrazia tarquiniese traeva certamente la sua ricchezza dal commercio mediterraneo su larga scala, tramite il suo porto di Gravisca, ma soprattutto dalle grandi estensioni cerealicole dell’entroterra. Dopo ripetuti violenti scontri, fu sottomessa da Roma nel 308 a C. e decadde lentamente.
Nel Medioevo essa rinacque su un colle vicino. L’insediamento assunse il nome di Corgneto e divenne un magnifico borgo, cinto da una splendida cerchia muraria, che possiamo ammirare ancora oggi; le bellezze della città medievale reggono il confronto con quelle della città antica.
Tarquinia etrusca è famosa nel mondo per la bellezza delle sue tombe dipinte, e per gli straordinari corredi che gli archeologi vi hanno reperito, sin dal XIX secolo. Le necropoli si estendono per vastissime superfici sui rilievi intorno al colle della Civita, sede della città antica. La più famosa è senz’altro quella dei Monterozzi, di gran lunga la più visitata dai turisti, posta proprio lungo la strada che porta a Tuscania. Le pitture più belle possono essere viste però al Museo Archeologico Nazionale, dove sono state collocate dopo il distacco, effettuato per preservarle dai danni dell’umidità.

Già: può sembrare strano, per chi visita la città in questi assolati giorni di Agosto, e mira sbigottito un paesaggio quasi lunare di terreni aridissimi e stoppie ingiallite. Ma qui, a due passi da un mare profondissimo, una vera fabbrica di perturbazioni, quando piove, piove di brutto. Alla fine di Ottobre del 1987, piovve così tanto da dilavare il terreno di una collina, scavando ampi calanchi e mettendo a nudo centinaia di nuove tombe, almeno una delle quali di eccezionale valore storico, artistico e documentario.
L’alluvione viene scatenata da una classica bomba d’acqua, fatta di aria caldo-umida di matrice subtropicale.
La confluenza con aria più fresca di provenienza nordoccidentale fece calare le temperature di circa 10 gradi in tre giorni.







L'impulso perturbato viaggiò sull'onda delle correnti sud-occidentali e raccolse una enorme quantità di umidità, che scaricò appena giunto sull'entroterra. Veramente impressionanti i dati degli accumuli registrati il 30 ottobre 1987 sulle stazioni del Viterbese: 155 mm. Valentano, addirittura 238 Canino, 95 San Lorenzo Nuovo, 175 Marta, 156 Tuscania e, infine, 196 mm. Tarquinia.
Quale sconquasso potè determinare quell'immensa massa d'acqua su terreni già di per sè polverosi, instabili e denudati ce lo dicono, ancora oggi, a quasi trent'anni di distanza dall'evento, le foto satellitari. I pendii si calanchizzarono, decine di centimetri di suolo vennero semplicemente rimossi.

L'alluvione riuscì a svolgere, in un solo giorno, il lavoro di una generazione di archeologi. Il poggio che sorge vicino al Cimitero di Tarquinia, a poche centinaia di metri dalle tombe dipinte della Necropoli dei Monterozzi, venne letteralmente scavato, per una superficie di oltre 20 ettari. Quando i proprietari si recarono sul fondo (detto Carraccio Rogani) per verificare i danni, rimasero stupefatti. Erano state riportate alla luce numerosissime, alcune centinaia di tombe etrusche, appartenenti alle più svariate tipologie: a fossa, a cassettoni, ma anche a camera, nel più tradizionale stile tarquiniese.
Per comprendere quante tombe e quanto materiale siano stati riportati alla luce, basti pensare che gli scavi d'emergenza, immediatamente intrapresi, durarono fino al 1990 ed attendono ancora un'organica pubblicazione.
Al Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia è però possibile visualizzare alcuni reperti. Fra questi, il più commovente è senz'altro la tomba di due adolescenti, due giovanissimi guerrieri, uniti insieme in vita probabilmente da una saldissima amicizia, o forse anche da uno di quei legami omosessuali all'epoca ampiamente tollerati. Erano stati colti insieme dalla morte e pietosamente sepolti insieme, in un'unica fossa, con un unico corredo. Ai piedi di entrambi, una sottile cavigliera di filo d'argento, ornamento di cui nel mondo etrusco si ignorava sino a quel momento l'utilizzo.

Si ringrazia per la cortese collaborazione il Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia.